LA RESPONSABILITÀ DEI PROVIDER DELLE RETI CONTENT DELIVERY NETWORK (CDN)

L’innovativa pronuncia del Tribunale di Milano e la condanna dei CDN provider per la trasmissione pirata delle partite di Serie A: una mosca bianca nel panorama europeo

L’aumento della domanda di contenuti multimediali audiovisivi ha comportato inevitabilmente anche la crescita di piattaforme pirata che consentono e facilitano la trasmissione e la visione di contenuti protetti. Nel dettaglio, sono le reti di Content Delivery Network ad essere entrate nel mirino dei pirati audiovisivi che le utilizzano per garantire agli users delle loro piattaforme la distribuzione efficiente e rapida di contenuti protetti ad un costo pari a zero. Tuttavia, il fenomeno in parola ha attirato l’attenzione dell’autorità giudiziaria italiana, ed in particolare del Tribunale di Milano, il quale il 5 ottobre 2020 si è espresso con un’innovativa ordinanza che rappresenta un unicum nel suo genere ed in Europa.

Indice degli argomenti:

  • Introduzione
  • CDN Provider e CDN cosa sono e a cosa servono?
  • I CDN e le piattaforme audio-visive pirata
  • La responsabilità dei CDN: il caso
  • La responsabilità dei CDN: la decisione del Tribunale
  • Riflessioni conclusive

Introduzione

L’aumento della domanda di contenuti multimediali, siano essi video, foto, brani musicali, stimolato probabilmente anche dai vari lock-down che stanno interessando la nostra nazione e non solo, ha comportato inevitabilmente anche l’incremento di piattaforme che consentono la visione in streaming di contenuti protetti altrimenti accessibili solo mediante un apposito abbonamento a pagamento con le piattaforme autorizzate alla ri-trasmissione.

La crescita esponenziale della pirateria audiovisiva ha sempre visto la giustizia italiana assumere un ruolo cardine nel tentativo di limitare ed arginare le attività illecite di trasmissione di contenuti protetti, grazie a pronunce che sono una vera e propria mosca bianca nel panorama europeo.

Di particolare interesse è l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Milano dell’ottobre 2020 con la quale, per la prima volta, una corte italiana si esprime circa il ruolo dei provider dei servizi di Content Delivery Network.

Prima di analizzare nel merito tale innovativa pronuncia è bene delineare gli aspetti tecnici e gli aspetti giuridici ad essa sottesi.

CDN Provider e CDN. Cosa sono, e a cosa servono?

La dicitura Content Delivery Network (CDN) indica una piattaforma di server altamente distribuita che ha la precipua funzione di diminuire la latenza, ossia il tempo intercorrente tra l’inoltro di una richiesta su una pagina web ed il termine del caricamento del contenuto prescelto sul dispositivo utilizzato dall’utente. Il risultato in parola è raggiunto da questi molteplici nodi di server interconnessi, i quali, essendo distribuiti su tutto il globo, riescono a ridurre la distanza fisica che la richiesta di caricamento di un contenuto deve percorrere[1].

Per capire meglio il funzionamento di queste reti pensiamo al caso di un utente web che dal proprio dispositivo, ad esempio un personal computer sito dall’Australia, acceda ad una pagina il cui contenuto è originato da un server in Scozia. Orbene, in assenza di una rete CDN il nostro utente australiano dovrebbe attendere parecchio tempo davanti al pc in attesa del caricamento del contenuto che desidera vedere.

Questa situazione è risolta dai CDN, i quali memorizzano nella cache[2] una versione dei contenuti di vari siti web in più aree geografiche del mondo cosicché a rispondere all’utente che richiede un contenuto non sia il server originario dello stesso ma il server che è fisicamente e geograficamente più vicino al luogo da dove la richiesta è partita. Tornando all’esempio di prima, il server che trasmetterà il contenuto all’utente in Australia sarà un server australiano e non il server scozzese ove quel contenuto è stato originato.

In ultimo, pare opportuno specificare anche cosa si intenda per “CDN Provider”. Il CDN Provider non è altro che un vendor che fornisce ad aziende, gestori di pagine web e a chiunque ne sia interessato, il servizio di distribuzione dei propri contenuti agli users di tutto il mondo tramite l’utilizzo di Content Delivery Network. In altri termini, questa figura funge da congiunzione tra aziende e gestori da un lato e i consumatori finali (gli utenti) dall’altro.

I CDN e le piattaforme audiovisive pirata

Agli indubbi vantaggi di utilizzo dei CDN, che migliorano le cosiddette web experience e web performance degli utentiassicurando una fruibilità e un caricamento veloce dei contenuti web, fanno da contraltare gli utilizzi patologici di questo servizio da parte di veri e propri pirati informatici. Invero, il meccanismo su cui si basano i servizi di Content Delivery Network ben si presta ad essere utilizzato per mascherare l’identità di piattaforme pirata, come ad esempio siti di streaming illegale, poiché consentono alle stesse di immagazzinare una notevole quantità di dati che vengono poi distribuiti e trasmessi spesso illegalmente.

Analogamente a quanto successo con le IPTV (Internet Protocol Television)[3], anche i CDN sono entrati nelle mire dei pirati audiovisivi, che li utilizzano per garantire agli users delle loro piattaforme la distribuzione efficiente e rapida di contenuti protetti da copyright. Ed anzi, grazie al servizio fornito dai CDN le piattaforme riescono a mettere in piedi dei veri e propri servizi di pirateria “all’ingrosso”, sfruttando la delocalizzazione geografica dei server e la loro capacità di caricare rapidamente contenuti anche molto “pesanti”.

Ma vi è di più. A differenza dei servizi di Internet Server Provider (ISP)[4] nei confronti dei quali i giudici, in forza della direttiva europea 2000/31/CE del Parlamento Europeo sull’e-commerce[5] (recepita in Italia con Decreto 70/2003), hanno il potere di pronunciarsi con azioni inibitorie al fine di bloccare o quantomeno di limitare le azioni illecite perpetrate dagli ISP, nel caso dei CDN i giudici europei si trovano a dover navigare a vista in una zona d’ombra del diritto. A ben vedere, infatti, i regimi di responsabilità dettati dalla succitata direttiva europea delineano diversi gradi di responsabilità calibrati sulle diverse attività che in concreto svolgono gli ISP ma che, purtroppo, né comprendono né sono sufficienti a contrastare il sistema di pirateria digitale che ad oggi si basa sull’utilizzo dei CDN.

A tal proposito, si segnala che già nel 2018 gli esperti avevano sentito i primi campanelli d’allarme dichiarando che questi nuovi servizi sarebbero stati utilizzati dai pirati informatici più accorti al fine di limitare le azioni intraprese dalle autorità giudiziarie[6].

La responsabilità dei CDN: il caso

In data 5 ottobre 2020, la Sezione Specializzata in materia di impresa del Tribunale di Milano, con ordinanza n. 42163, ha vietato l’utilizzo dei servizi offerti da CDN provider (così come sopra definiti) in determinati casi. Nel dettaglio, i giudici del tribunale meneghino si trovavano nella situazione di doversi pronunciare su tema della trasmissione illecita di partite di calcio del campionato di serie A su quattro siti vetrina, accessibili da diversi indirizzi. Le piattaforme pirata in parola riuscivano a diffondere questi contenuti “attraverso un accesso abusivo a tali contenuti in favore degli utenti registrati sui rispettivi siti web, con l’utilizzo di infrastrutture complesse ed univocamente dedicate a tale attività illecita” come si evince della chiara lettera dell’ordinanza del tribunale[7].

La pronuncia del tribunale originava da un provvedimento cautelare inaudita altera parte datato settembre 2019 che ordinava ad alcuni provider di CDN coinvolti nella trasmissione di tali contenuti protetti, le partite di serie A, la cessazione immediata della fornitura dei servizi informatici che ne permettevano la diffusione e la trasmissione.

Il procedimento vedeva quali parti ricorrenti Sky Italia e Lega Serie A, il cui interesse ad agire era dato dalla loro qualità di titolari di diritti di ri-trasmissione delle partite di calcio di serie A sul territorio nazionale. Specificamente, le ricorrenti nel 2019 chiedevano al tribunale di pronunciarsi relativamente all’impossibilità per diversi CDN provider di fornire l’accesso ad un popolare servizio di IPTV che permetteva ai suoi utenti di vedere le partite gratis.

Al contrario, nel ruolo di resistenti nel procedimento in parola vi erano diversi CDN provider, la cui difesa si è sempre basata sull’assunto per il quale non può essere qualificata quale attività illecita la memorizzazione temporanea di contenuti anche qualora gli stessi si rivelino poi illeciti. I provider dichiaravano di non poter essere soggetti ad alcuna azione inibitoria da parte di un tribunale poiché il servizio da loro reso richiedeva la sola memorizzazione temporanea di contenuti web allo scopo di ottimizzare la fruizione degli stessi, senza poter operare o avere alcun tipo di imperio sui contenuti che venivano memorizzati sulla rete di server da loro utilizzata e messa a disposizione. In altri termini, i provider sostenevano che l’apporto che offrivano con i loro servizi CDN era meramente tecnico e che non riguardava i contenuti ri-trasmessi e, conseguentemente, la loro attività non poteva essere oggetto di una pronuncia inibitoria giacché meramente strumentale al transito dei dati dal server alle piattaforme web[8].

La responsabilità dei CDN provider: la decisione del Tribunale

Sebbene la strenua difesa dei CDN Provider sia costata al Tribunale un lungo periodo di riflessione, pari a circa ad 1 anno, lo stesso non ha accolto le argomentazioni difensive prospettate dai resistenti, creando un importante precedente per il futuro.

Secondo il collegio giudicante, i server offerti dai CDN provider non hanno assunto la mera funzione di transito delle informazioni ma hanno anche celato e, in un secondo momento, agevolato l’intento della distribuzione illecita di contenuti protetti sulle piattaforme pirata. Prendendo in prestito le parole dei giudici “anche la semplice attività di conservazione temporanea di dati statici può consentire l’azione illecita e, di fatto, rendere possibile la trasmissione di contenuti pirata. È, quindi, possibile ordinare a un provider di servizi di CDN di bloccare la fornitura di tutti i servizi erogati a favore dei siti abusivi” e, pertanto, “deve ritenersi sussistente il fumus boni iuris relativo alle violazioni dedotte, rispetto alle quali la posizione dei resistenti – astrattamente non responsabili per detti illeciti ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 70/03– assume rilievo in relazione alla loro qualità di intermediari, che consente comunque l’adozione nei confronti dei medesimi di ordine inibitorio a prescindere dalla sussistenza di dolo o colpa per le violazioni prospettate.[9]”.

L’iter logico seguito dai giudici scaturisce dalla circostanza per cui gli stessi non avevano ritenuto sufficientemente provati i limiti dell’operato dei provider. Ciò posto, il collegio si è spinto oltre, affermando che, anche volendo ammettere che i CDN provider si fossero limitati alla mera trasmissione e memorizzazione temporanea dei dati, in ogni caso, l’attività in parola sarebbe stata atta a facilitare l’attività illecita posta in essere dai pirati audiovisivi.  Inoltre, il tribunale ha considerato come non rilevanti, nel caso di specie, le definizioni di Internet Service Provider (ISP) riportate nella direttiva europea, recepita in Italia con il D.lg 70/2003, poiché le stesse perdono il loro valore a fronte della necessità di tutelare un valore più importante quale la tutela di diritti di proprietà intellettuale su contenuti protetti[10], e che, pertanto, la loro qualità di meri intermediari non poteva essere considerata quale esimente[11].

Pertanto, alla luce dei ragionamenti sopra esposti, i giudici hanno ritenuto doveroso imporre un limite a condotte di questo tipo, limiti che si sono tradotti in un blocco dei servizi CDN dei provider in relazione a tutti i siti web correlati con l’attività criminosa.

Peraltro, il tribunale non si è limitato alla pronuncia dell’inibitoria totale ma ha anche imposto ai provider un obbligo di “stay down” che consta non solo nel divieto di cessare la fornitura di servizi ma anche in quello di prestare i propri servizi ai medesimi soggetti o alle medesime piattaforme che hanno posto in essere l’attività illecita[12].

In ultimo, il tribunale ha sottolineato come l’inibizione dei servizi CDN forniti a piattaforme pirata porterà ad una vera e propria interruzione nella trasmissione di contenuti pirata, giacché qualora un CDN ne negasse o interrompesse il transito il “pirata” sarebbe costretto a trovare un nuovo canale per la distribuzione dei contenuti.

Riflessioni conclusive

In conclusione, la presente pronuncia risulta essere sicuramente innovativa ed unica nel suo genere giacché per la prima volta un tribunale ha imposto un blocco ai servizi forniti dai CDN provider in caso di trasmissione illecita di contenuti protetti, generando in tal modo un precedente giuridico non di poco momento.

Al contempo, la pronuncia appare significativa poiché ha fatto luce su una tematica eccezionalmente delicata e complessa concernente il difficile inquadramento a livello giuridico della figura del provider di servizi CDN, figura che non rientra nelle definizioni dettata dalla direttiva europea in materia di e-commerce.

Peraltro, a conferma della rilevanza della pronuncia in esame, vi è la circostanza per cui è risultato necessario assoggettare tali condotte ad inibitorie totali e ciò per cercare di arginare quanto più possibile il fenomeno criminoso che, manifestandosi sul web, risulterebbe altrimenti estremamente difficile da gestire.

In ultima analisi, si può affermare che i principi che hanno ispirato l’ordinanza del tribunale di Milano saranno probabilmente i nuovi punti di partenza della giurisprudenza italiana in tema di CDN e CDN provider. Ciò detto, l’insicurezza sta nel sapere per quanto tempo questi principi potranno essere ritenuti validi vista l’evoluzione costante e frenetica della pirateria audiovisiva ma forse anche nella stessa logica con la quale si è giunti a tale decisione, laddove risulta forse evidente che si sia voluti partire da un assunto di base, ossia che il risultato dell’azione è la violazione dei diritti di proprietà intellettuale, e sulla scorta di esso si sia interpretata l’attività del provider, risultando secondario l’aspetto invece, probabilmente, fondamentale, del contenuto tecnico dell’azione del provider e della rete CDN, la quale in sé si pone al di là, ed in maniera indifferente, rispetto al contenuto dei dati conservati e trasmessi. Con questo non si vuol dire che il contemperamento degli interessi giuridici abbia avuto un esito sbagliato, tutt’altro, ma solo che l’opera del giurista si deve fare sempre più articolata per adattarsi alle evoluzioni della tecnologia.


Note:

[1] Definizione di “Content Delivery Network” di Akamai, disponibile qui: https://www.akamai.com/it/it/cdn/what-is-a-cdn.jsp

[2] In tema di elaborazione, la cache è un livello di conservazione dei dati ad alta velocità che memorizza temporaneamente un sottoinsieme di dati al fine di rispondere alle richieste degli utenti nella maniera più rapida possibile, facendo venire meno la necessità di accedere ogni volta al percorso principale in cui si trovano i dati. In altri termini, la cache permette di recuperare e riutilizzare in modo veloce ed efficiente tutti quei dati che sono già stati elaborati o raccolti. Definizione di Garzanti Linguistica.

[3]L’Acronimo Internet Protocol Television sta ad indicare un sistema che permette di guardare segnali televisivi sfruttando la connessione internet, In altri termini questi protocolli o standard permettono di vedere i canali televisivi via internet, cioè si possono vedere canali televisivi via internet utilizzando la rete per inviare flussi video.

[4] L’Internet Service Provider è un soggetto che esercita un’attività imprenditoriale che offre agli utenti la fornitura di servizi inerenti Internet, in sostanza è colui che fornisce ai terzi l’accesso alla rete, utilizzando una connessione remota tramite linea telefonica o banda larga. Definizione di Altalex, disponibile qui: https://www.altalex.com/guide/internet-service-provider

[5] Se vuoi approfondire il tema delle direttive Europee in tema di piattaforme digitali clicca su questo link: https://www.legaltechitalia.eu/mercato-unico-digitale-marketplace/

[6] Pirateria audio-visiva, le nuove responsabilità dei provider: le sentenze italiane, Agenda Digitale, disponibile qui: https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/pirateria-digitale-i-nuovi-punti-cardine-della-giurisprudenza-in-tema-di-isp/

[7] Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di impresa, ordinanza n. 42163 del 5 ottobre 2020

[8] Pirateria online, bloccati tutti i siti “vetrina” dello streaming illegale, Il Sole 24 Ore, disponibile qui: https://www.ilsole24ore.com/art/pirateria-online-bloccato-nuovo-standard-streaming-illegale-ADlFPyu?refresh_ce=1

[9] Supra, nota 6

[10] Se vuoi approfondire il tema della proprietà intellettuale e dei diritti ad essa connessi clicca su questo link: https://www.dirittoconsenso.it/2019/09/12/proprieta-intellettuale-diritti/

[11] Supra, nota 5

[12] Serie A e streaming illegale: il Tribunale di Milano impone il blocco delle Content Delivery Network, Ius in Itinere, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/serie-a-e-streaming-illegale-il-tribunale-di-milano-impone-il-blocco-delle-content-delivery-network-32262

Bibliografia:

Questo contributo è stato redatto da un articolista di Legaltech Italia, partner di Dirittoconsenso.it.

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