I “DIGITAL-LAWYERS”: competizione o interazione?

In un’epoca in cui il digitale e l’automatizzazione stanno prendendo sempre più piede, non vi è da stupirsi che anche la professione forense stia affrontando un periodo di transizione. Assistiamo infatti all’ascesa di una nuova classe di avvocati, una classe che si trova a suo agio tanto in un’aula di tribunale quanto con la programmazione di un software. Alcuni li chiamano “digital-lawyers” o “code-lawyers”, in ogni caso, qualunque sia il loro titolo, questa loro duplice natura sta diventando sempre più preziosa in un mondo guidato dal digitale.

Indice degli argomenti:

  • I “digital-lawyers”: una definizione
  • Attività di programmazione e “coding” per gli avvocati
  • Riflessioni conclusive

I “digital-lawyers”: una definizione

Prima di addentrarci in riflessioni sul tema è bene chiarire cosa intendiamo con “digital lawyers”: si tratta di avvocati che, oltre ad esercitare la professione forense, sono anche esperti di tecnologia e di programmazione.

I sentimenti della comunità legale nei loro confronti possono essere suddivisi in due macro categorie; la prima li vede come una grande opportunità, come un modo per dare impulso ad un cambiamento necessario all’interno del mondo delle professioni legali, grazie al loro approccio che potremmo definire “out of the box”; per chi, invece, è più legato ad un’impostazione tradizionale della professione, la novità che essi rappresentano è percepita, più che come un valore aggiunto, come un possibile sovvertimento dell’ordine conosciuto, e quindi un elemento destabilizzante.

Ad oggi appare sempre più chiaro che un cambio nel mondo delle professioni forensi sia inevitabile, ossia che succederà nonostante tutte le resistenze esercitate dai più tradizionalisti e che sarebbe quindi uno spreco di energie e tempo cercare di evitarlo. In questo panorama mutato e mutevole l’avvocato deve saper reagire come farebbe il buon imprenditore. Per chiarire questo ultimo concetto utilizziamo un semplice esempio. Pensiamo all’industria delle macchine fotografiche analogiche: con l’avvento del digitale la scelta imprenditoriale più redditizia è quella di convertire la propria produzione. Allo stesso modo, l’avvocato odierno, per non estinguersi, deve convertire la produzione, ossia trovare la maniera di innovare le sue competenze ed il modo in cui presta i suoi servizi.

Attività di programmazione e “coding” per gli avvocati

A questo punto, sorge una domanda: gli avvocati devono imparare a programmare? Ebbene, posto che la domanda non consente, né può consentire, una risposta netta, è vero che la stessa suscita, senza dubbio, alcune riflessioni. Come prima cosa, è necessario sfatare il mito per cui programmare sia un’attività eccessivamente complessa e riservata ai soli informatici. Ai più sorprenderà sapere, difatti, che molte competenze dell’avvocato sono in realtà comuni a quelle di un programmatore: giusto per nominarne alcune, l’attenzione per i dettagli, la capacità di destrutturare i problemi per poi risolverli e le competenze di ricerca e analisi dei dati raccolti, sono solo alcune delle competenze che il legale già possiede e che lo aiuterebbero a trasformarsi in un buon programmatore. Per stimolare tale trasformazione alcune grandi law firm, che hanno visto nella legal innovation un campo redditizio in cui investire, hanno adottato le cosiddette “innovation hours”, ossia si incentivano i partners dello studio a partecipare a progetti e workshop che riguardano il tema della legaltech e della legal innovation, considerando tali ore come ore fatturabili. Per chi invece vuole iniziare da autodidatta, vi sono piattaforme ad hoc che offrono corsi aperti online, ad esempio Udacity, Udemy e Coursera, grazie alle quali il legale può avvicinarsi al mondo della programmazione senza costi eccessivi.

Ciò detto, il secondo passo consiste nell’interrogarsi su come il saper programmare può aiutarci e quindi il motivo per cui dovremmo impegnare le nostre ore nel suo apprendimento. Innanzitutto, l’avvocato-programmatore si differenzia rispetto ai colleghi ed altri soggetti che non possiedono tali competenze tecniche. Inoltre, il “code-lawyer”  ha la capacità di comunicare con gli altri settori, è ormai un dato di fatto che il settore legale sta diventando sempre più interdisciplinare e fluido, di conseguenza il “saper programmare” conferisce un valore aggiunto che consente all’avvocato non solo di comunicare in maniera efficace con i propri colleghi da un lato e con esperti di tecnologia dall’altro, ma anche di essere il ponte, sempre più indispensabile, tra queste due realtà.

Come per ogni cosa però è necessario analizzare anche l’altro lato della medaglia. Difatti, se da un lato è vero che esistono incentivi, vantaggi e possibilità, dall’altro va detto anche che imparare a programmare è come imparare una lingua straniera e, perciò, né semplice né veloce.

Dunque, se non la programmazione, cosa possono imparare gli avvocati per interagire e non subire le nuove tecnologie? Possono concentrarsi sulle basi, sui concetti, ad esempio chiedersi e capire il funzionamento di blockchain, smart contract e chat bot, riflettendo sulle possibilità che questi offrono e sulle possibili implicazioni legali che hanno o che potrebbero avere. Difatti, l’utilizzo e la conoscenza di queste tecnologie permetterebbero all’avvocato non solo di efficientare il proprio lavoro ma anche di essere competitivo nel mondo digitale in cui viviamo.

Riflessioni conclusive

In definitiva, quindi anche senza imparare, direttamente, a programmare, la base può essere iniziare con il comprendere i concetti fondamentali della tecnologia, i componenti, le preoccupazioni ed i concetti complementari. 

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