WhatsApp in aula!

Piccole attenzioni da prestare quotidianamente nell’utilizzo di WhatsApp

WhatsApp è l’app di messaggistica istantanea più diffusa al mondo, sia per la facilità di utilizzo sia perché è gratuita. Molto spesso, gli utilizzatori di quest’applicazione tengono dei comportamenti, in buona fede ed ingenuamente, che potrebbero avere delle ripercussioni negative ex post. In quest’articolo metto in luce quali sono gli aspetti più importanti da tenere in considerazione quando si utilizza quest’app, che spesso vengono sottovalutati o, addirittura, ignorati. L’altro tema centrale dell’articolo è quello legato alla possibilità o meno di portare in tribunale come prova le chat di WhastApp.

Indice degli argomenti

  • Introduzione
  • Le conversazioni su WhatsApp hanno valore di prova legale?
  • WhastApp può entrare in aula tramite screenshot, messaggi e testimoni?
  • Inoltrare foto e screenshot su WhatsApp è possibile?
  • Sexting su WhatsApp
  • I minori di 16 anni possono avere WhastApp?
  • Conclusioni
  • Bibliografia

Introduzione

L’evoluzione tecnologica ha radicalmente cambiato la società odierna. Le forme tradizionali di comunicazione sono state pian piano abbandonate per lasciare spazio a nuove forme di interazione, tra le quali le app di messaggistica istantanea. La più nota e diffusa tra queste è WhatsApp, che consente di inviare messaggi, note vocali, foto e video.

In quest’articolo mi occuperò del valore legale delle chat tenute su WhastApp e di alcuni comportamenti, tenuti ingenuamente dagli utenti del servizio, che potrebbero integrare delle ipotesi di reato e alle quali, quindi, sarebbe necessario prestare molta più attenzione.

Le conversazioni su WhatsApp hanno valore di prova legale?

La Corte di Cassazione, sez. V penale, si è occupata della questione con la sent. n. 49016/2017. Nel caso di specie, l’imputato del delitto di atti persecutori commesso in danno dell’ex fidanzata minorenne propose ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta, lamentando la mancata acquisizione delle conversazioni di WhatsApp agli atti del processo. L’imputato sosteneva l’inattendibilità della ragazza, in quanto i due, anche dopo la denuncia da parte di lei, avevano continuato ad intrattenere dei rapporti affettuosi, dimostrabili attraverso le chat intercorse tra loro.

La Corte di Cassazione osservò che la registrazione di tali conversazioni costituisce una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale si può legittimamente disporre ai fini probatori, trattandosi di una prova documentale[1]. L’art. 234 c.p.p., rubricato “prova documentale”, consente infatti l’acquisizione di scritti o altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. La Cassazione, però, fece una precisazione circa il modo di acquisizione della prova, in quanto è essenziale controllare l’affidabilità di questa. Per effettuare nel miglior modo quest’accertamento, la Corte condizionò la possibilità di usare come prova le conversazioni avvenute tramite WhatsApp all’acquisizione del supporto contenente la registrazione. Solo in questo modo è garantita la paternità delle registrazioni e l’attendibilità di quanto documentato.

Il timore che indusse la Corte a puntualizzare le modalità di acquisizione era quello della facile alterazione di queste tipologie di prove. È fondamentale garantire l’integrità della prova, in quanto le prove digitali sono “fragili”, cioè facilmente soggette ad alterazioni e danneggiamenti.

I principi che stanno alla base del modo in cui manipolare queste prove rientrano nell’ambito della cd. computer Forensic[2], una branca della scienza digitale forense che si occupa dell’acquisizione delle prove da computer e altri dispositivi di memorizzazione digitale.

WhastApp può entrare in aula tramite screenshot, messaggi e testimoni?

Una prima domanda che potrebbe sorgere spontanea a questo punto è “e se ho cancellato i messaggi, ma ho conservato gli screenshot?”

Niente panico! Anche in questo caso sarà possibile utilizzare i messaggi come prova in tribunale. Quello che dovrete fare è stampare lo screenshot oppure allegarlo al fascicolo tramite usb key.

In questo caso, molto probabilmente la controparte contesterà la validità della chat. La Corte di Cassazione ha precisato a tal proposito che perché la contestazione sia in grado di rendere inutilizzabile la vostra prova, dovrà essere circostanziata, cioè fondata su motivazioni valide, come ad esempio la mancanza dell’indicazione della data.

Una seconda domanda che potrà venirvi in mente adesso è “e se non ho più a disposizione neanche gli screenshot, ma il mio amico Tizio aveva letto i messaggi ed è disposto a testimoniare?”

In questo caso, la chat tenuta su WhatsApp non sarà più una prova documentale, ma entrerà nel processo come prova testimoniale. Il vostro amico Tizio, però, dovrà essere un testimone diretto, cioè un teste oculare. Insomma, dovrà essere proprio lui ad aver letto i messaggi e non potrà testimoniare qualora sia venuto a conoscenza del loro contenuto da terze persone.

Questo sistema presenta delle intrinseche debolezze perché per l’avvocato della controparte sarà molto facile mettere in difficoltà il teste attraverso un astuto controinterrogatorio. Gli basterà, infatti, chiedere al testimone come faccia ad essere sicuro che al nome letto nella parte alta dello schermo corrisponda proprio l’utenza telefonica dell’imputato, oppure come faccia ad essere sicuro che non si trattasse di un’immagine fake appositamente creata da un software per insinuare un dubbio nella mente del giudice che sarà chiamato a valutare la testimonianza.

Inoltrare foto e screenshot su WhatsApp è possibile?

La constatazione dalla quale è necessario partire è che se una persona acconsente a farsi fotografare non è detto che si possa pubblicare la sua foto, in quanto il consenso non contiene anche il permesso alla pubblicazione dello scatto. Di conseguenza, se realizzate una foto di gruppo con degli amici, dei colleghi o dei familiari dovete chiedere loro l’autorizzazione qualora vogliate postare l’immagine su un vostro profilo social.

In caso contrario commettereste il reato di trattamento illecito di dati personali. Questa regola vale per tutti i casi di diffusione di foto o video senza autorizzazione tramite WhatsApp, Facebook, Instagram, Youtube… Quindi, rimanendo sul tema centrale, cioè WhatsApp, è necessario tenere conto di questa regola nel momento in cui si decide di cambiare la foto del proprio profilo o inoltrare una foto a qualcuno qualora questa ritragga anche un’altra persona.

Il reato di trattamento illecito dei dati personali è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni ed è integrato anche quando viene inoltrato lo screenshot di una conversazione privata, in quanto in questo caso vengono violate le norme sulla privacy.

Un altro diritto che può essere violato attraverso questa condotta è il diritto alla reputazione. Questo avviene qualora la chat leda l’immagine, la dignità, il decoro di una persona.

Riepilogando, inviare uno screenshot non è di per sé un reato. Questa condotta integra un reato solo qualora violi il diritto alla privacy o il diritto alla riservatezza. Il diritto alla privacy viene violato tutte le volte in cui dallo screenshot è possibile risalire ad aspetti della vita privata dell’utente (il quale magari si era confidato con il destinatario del messaggio), o qualora nell’immagine vi siano anche i dati personali (es. numero di telefono, nome e cognome…).

Il reato di diffamazione, invece, verrà integrato qualora lo screenshot leda la reputazione di un soggetto e sia comunicato ad almeno due persone (attraverso due inoltri separati o attraverso la pubblicazione in un gruppo).

Sexting su WhatsApp

È sempre più comune la pratica del cd. sexting, che consiste nell’inviare dei selfie erotici tramite WhatsApp. Questa pratica è altamente sconsigliata (anche tra fidanzati!) perché davvero pericolosa.

Se, a sua volta, chi riceve la foto la inoltra a qualcun’altro tramite WhatsApp integra il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, introdotto all’art. 612 ter c.p. dalla nuova legge sul Codice rosso. La norma punisce “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate”. Il reato è punito con la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.

È sufficiente che il colpevole compia in modo consapevole una di queste condotte perché scatti il reato, a prescindere dal suo effettivo intento.

La stessa pena si applica a chi ricondivide le immagini ricevute senza il consenso della persona rappresentata. In questo caso, però, è necessario che sussista la volontà di arrecare danno alla persona offesa. La volontà è intrinseca alla condotta incriminata, dato il mancato consenso.

La pena è invece aumentata se il reato è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da una persona che è o è stata legata sentimentalmente alla persona offesa e se la diffusione avviene attraverso strumenti informatici o telematici.

Questo tipo di reato non è perseguibile d’ufficio, quindi la vittima di questi comportamenti deve presentare la querela entro 6 mesi dalla scoperta del fatto. Essa avrà diritto al risarcimento del danno.

Le eccezioni a questa regola riguardano le persone incapaci di intendere e di volere oppure in stato di gravidanza: questi sono gli unici due casi in cui il reato è perseguibile d’ufficio.

I minori di 16 anni possono avere WhastApp?

WhatsApp è un’applicazione riservata agli utenti con almeno 16 anni. Tuttavia, esiste una clausola tra le condizioni d’uso che consente ai minori di 16 anni di utilizzare l’app qualora i genitori si assumano la responsabilità di fornire il consenso al trattamento dei dati personali dei loro figli.

Com’è possibile dimostrare questo consenso? È sufficiente che il minore indichi il cellulare o la email del genitore per ottenere il consenso.

In realtà, non c’è un’autorità preposta a verificare il consenso del genitore. Quindi, qualora un minorenne dichiari il falso si assumerà il rischio del trattamento dei propri dati personali da parte di WhatsApp.

Ma cosa accade se il minore di 16 anni dichiara di avere l’età minima richiesta, cioè dichiara il falso? Le conseguenze negative di questa condotta verranno alla luce solo se il minore si renderà responsabile di condotte poco onorevoli, come il cyberbullismo. In questi casi la falsa dichiarazione costituirà un’aggravante delle sanzioni previste per il primo reato.

Conclusioni

Riassumendo, le conversazioni tenute su WhatsApp possono essere considerate delle prove documentali, a patto che venga acquisito anche il supporto contenente la registrazione.

Anche gli screenshot e le testimonianze delle conversazioni possono essere considerati delle prove. Nel primo caso, però, è possibile per la controparte proporre una contestazione circostanziata per renderli inutilizzabili.  Nel secondo caso, invece, sarà molto semplice per l’avvocato della controparte mettere in difficoltà il testimone per cui non è consigliato far entrare nel processo le chat di WhatsApp come prova testimoniale.

Tramite WhatsApp è possibile inviare foto e screenshot, purché non si commetta il reato di trattamento illecito di dati personali, quindi senza violare il diritto alla privacy e alla reputazione di terze persone.

È caldamente sconsigliato, inoltre, inviare foto erotiche tramite quest’applicazione, in quanto questa pratica potrebbe avere delle conseguenze molto negative per il mittente. La legge sul Codice rosso, l. 69/2019, ha introdotto il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti per punire la pratica del cd. revenge porn (letteralmente vendetta pornografica), che consiste nel vendicarsi di qualcuno (molto spesso una persona a cui si è stati sentimentalmente legati) diffondendo del materiale sessualmente connotato che ritrae la vittima.

Infine, nonostante WhatsApp sia riservata a persone con un’età pari o superiore a 16 anni, nella prassi è utilizzata anche da ragazzi con un’età inferiore, non sempre previo consenso dei genitori, e a volte addirittura dichiarando di avere un’età superiore. La falsa dichiarazione costituirà un’aggravante qualora il minore si renda responsabile di reati commessi tramite WhastApp, come il cyberbullismo.

Bibliografia

Massimo Durante e Ugo Pagallo (a cura di), Manuale di informatica giuridica e diritto delle nuove tecnologie, Torino, UTET (2012)


[1] Per chi volesse approfondire il tema del processo civile, è possibile leggere l’articolo che è una sorta di breviario sul processo civile ordinario al seguente link: https://www.dirittoconsenso.it/2020/09/01/uno-schema-pratico-del-processo-civile-ordinario/

[2] La l. 48/2008 si occupa di criminalità informatica ed è il fondamento normativo della cd. computer Forensic.

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